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Il disastro di Marinella e Marina di Carrara e una proposta per salvaguardare il patrimonio arboreo foto

Un approfondito lavoro di ricerca a tripla firma che La Voce Apuana ospita e promuove: Davide Baridon, dottore agronomo, Fabio Giacomazzi, dottore in scienze biologiche ed esperto del territorio spezzino, Paolo Varese, naturalista e tecnico forestale, stilano un punto della situazione ed espongono una serie di idee in seguito all'estremo evento meteo del 18 agosto scorso che ha devastato le pinete al confine tra Liguria e Toscana.

MARINA DI CARRARA – Per adattarci al clima che cambia non possiamo fare a meno dei servizi resi dagli alberi e dai boschi. Le pinete litoranee possono essere salvate, ma occorre imitare la natura che prevede in quegli ambienti boschi misti di conifere e latigìfoglie, più resistenti agli stress. Indispensabile però una maggiore consapevolezza dei rischi da parte della popolazione e l’attivazione di comportamenti idonei attraverso un evoluto sistema di allerta. Un contributo di Davide Baridon, dottore agronomo, Fabio Giacomazzi, dottore in scienze biologiche ed esperto del territorio spezzino, Paolo Varese, naturalista e tecnico forestale.

L’evento meteo estremo del 18 agosto scorso che ha devastato il litorale tra Marinella e Marina di Carrara è stato classificato come “derecho”, ovvero un ampio sistema convettivo che genera venti lineari di oltre 100 km/h, sviluppato su un fronte di oltre 400 km (nel caso in questione i venti nello spezzino hanno raggiunto i 143 km/h, con uno sviluppo dell’evento su oltre 1500 km, da Maiorca fino alla Repubblica Ceca). Tra le conseguenze locali più catastrofiche c’è stata quella sul patrimonio arboreo di Marinella e Marina di Carrara, in special modo sulle pinete litoranee direttamente esposte ai venti da occidente.

Qui le pinete fronte mare hanno subito danni notevoli, con abbattimento di alberi su una superficie che si può calcolare tra il 50% e il 90% a seconda dei casi. Molto meno coinvolte altre specie arboree (come i pioppi neri a Marinella). Uno dei danni maggiori, sia per quantità che per qualità della vegetazione distrutta, è quello della Pineta della Tenuta di Marinella, posta di fianco al monumento funebre di Fabbricotti, che oltre ad avere un interesse paesaggistico rivestiva un particolare valore naturalistico visto che è stata riconosciuta come habitat delle “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster” (codice 2270* nella classificazione Natura 2000, dove l’asterisco sta per “habitat prioritario”, ovvero di particolare valore a causa della sua vulnerabilità).

Come ormai ampiamente condiviso dalla comunità scientifica, tali eventi estremi sono collegati direttamente al cambiamento climatico e rappresentano solo una parte delle conseguenze attese (basti pensare all’ondata di calore che ha investito il nostro paese nell’estate corrente, nonché alla prolungata e intensa siccità).

Tutti questi fattori incidono, più o meno direttamente (e sempre negativamente), sul paesaggio vegetale, compreso il verde urbano, proprio quella componente così importante nel mitigare gli effetti del riscaldamento globale e nel fornirci quei servizi ecosistemici alla base della qualità della vita.

D’altronde il nostro patrimonio arboreo autoctono è costituito da specie che non sempre sono adatte a resistere alle sollecitazioni dinamiche ed ai movimenti di turbolenza propri di climi monsonici o comunque più tropicali, e subiscono quindi gravi danni al passaggio di eventi meteorici violenti, come quelli che abbiamo assistito quest’estate e che si prevedono sempre più frequenti.

Il tema quindi è: come assicurarci una idonea dotazione arborea (valida a mitigare le temperature, fornire ombra, favorire l’assorbimento dell’acqua nel terreno, per cui la ricarica della falda, …) nelle aree urbane, periurbane e agricole, al tempo del cambiamento climatico e dei suoi eventi estremi? Cercando contemporaneamente di minimizzare i rischi per la popolazione? Prestando attenzione anche alla tutela della biodiversità, ovvero degli habitat e delle specie in equilibrio con i fattori ecologici per cui più stabili e che garantiscono maggior valore e qualità al territorio (esempio quindi di resilienza)?

Vanno definiti alcuni principi cardine:

  • gli alberi sono utili oggi e lo diventeranno ancor di più in futuro in chiave di adattamento climatico
  • il patrimonio arboreo, in special modo in ambienti aperti quali aree urbane, periurbane e coltivi, andrebbe quindi implementato affinchè ci possa garantire i servizi ecosistemici attesi
  • la scelta delle specie ed il tipo di impianto deve tenere conto dei fattori ecologici agenti e delle trasformazioni in atto dovute al cambiamento climatico: fra pochi decenni le condizioni climatiche potranno essere ancora più severe, e se da una parte le aree vegetate andranno a mitigare questi effetti, dall’altra occorre anche prevedere specie adatte a resistere a condizioni più siccitose e ad eventi più estremi
  • le pinete a Pinus pinea, anche se non di origine naturale, sono parte caratterizzante il paesaggio litoraneo italiano, per cui è impensabile una sostituzione a tappeto; e comunque vi sono anche altri fattori che inducono per il loro mantenimento: oltre all’aspetto paesaggistico, il fatto che siano solitamente individui adulti, che se riuniti a formare un bosco costituiscono un habitat utile ospitare specie e a creare equilibrio ecologico, che in forma di filare garantiscono ombreggiatura. D’altronde queste pinete tendono spontaneamente ad evolvere verso la lecceta o il querceto di roverella nei suoli più profondi, per cui la gestione può eventualmente assecondare questa dinamica nel tempo.

La strategia quindi dovrebbe essere basata su due linee strategiche: da una parte intervenire per rendere più resistenti filari e boschi presenti, garantendone nel contempo la funzionalità ecologica (e solo in casi estremi intervenire a sostituire completamente la vegetazione attuale); dall’altra raggiungere una maggiore capacità di adattamento e gestione del rischio da parte della popolazione, operando sul piano dell’informazione per creare consapevolezza e adozione di corretti comportamenti.

Interventi sulla vegetazione (con particolare riferimento alle pinete di Pinus pinea):

  • nelle aree boscate più estese occorre evitare di avere una medesima struttura coetanea e monospecifica, avendo cura di alternare aree a struttura disetanea, e creando mantelli esterni alla pineta con specie della macchia mediterranea, od anche lasciando evolvere alcune pinete verso popolamenti pluristratificati e plurispecifici
  • integrandoli ad esempio con specie di latifoglie coerenti con gli habitat attesi in relazione ai fattori ecologici agenti (sul modello ad esempio delle pinete litoranee più naturali, in cui nelle zone retrodunali si realizzano microhabitat più aridi idonei a ospitare il leccio, e più umidi dove invece alberga la farnia)
  • creando, ove possibile, una prima barriera verde che si interponga tra litorale e pinete, con specie idonee a conformarsi ai venti e di conseguenza a resistere meglio (a Marinella si è assistito al caso positivo della lecceta del monumento a Fabbricotti)
  • nei filari paralleli e prospicienti la linea di costa si può intervenire facendoli diventare a doppio filare arboreo-arbustivo, in modo che sul lato mare si formi una barriera arbustiva a “riempire i buchi” tra un albero e l’altro; in questo modo, oltre a garantire maggiore resistenza all’effetto del vento, si rafforza anche la funzione di corridoio ecologico del filare
  • anche in considerazione del fatto che gruppi di alberi (anche in filare) conformano la chioma in modo adattativo, in maniera integrata tra gli individui che li compongono (per cui diradarli inficerebbe la stabilità dell’intero gruppo) la prima strategia dovrebbe essere quindi quella di “difenderli” con gli interventi sopra proposti; solo nei casi di maggior rischio si deve prevedere la completa sostituzione con specie più adattabili a condizioni di criticità termo-pluviometriche (habitus a maturità più contenuto e più resistenti ad interventi di risagomatura della chioma).

Interventi su Informazione e comportamenti individuali:

  • identificare a priori situazioni di particolare rischio, a partire dalle alberate di maggiori dimensioni o in fase di senescenza, soprattutto se localizzate in aree urbane ad elevata intensità di traffico pedonale o veicolare (o perché in prossimità di parcheggi, aree sportive, campeggi, ecc)
  • in questi contesti Enti pubblici, o privati gestori di parchi, giardini ed aree verdi, possono mettere in atto strategie informative sul corretto utilizzo degli spazi arborati, ad esempio con cartelli di avviso di evitare la sosta sotto chioma in caso di vento o temporali, allontanandosi rapidamente da aree con presenza di alberi
  • anche nei viali urbani, dove il transito non è comunque limitabile agevolmente, sarebbe ad esempio opportuno, in presenza di aree destinate a parcheggio o sosta, apporre dei semplici pannelli informativi per ricordare che sussistono potenziali rischi di cedimento di rami o branche in caso di eventi meteorici violenti
  • in parchi e giardini interclusi possono essere utili strumenti con anemometri opportunamente tarati, in grado di segnalare soglie di vento che possono risultare critiche per gli alberi, con sistemi acustici di segnalazione (sirene di allarme) che invitino i fruitori all’evacuazione rapida dall’area verde
  • prevedere sistemi di allarme “last-minute” in base ai quali la cittadinanza è informata ed esercitata ad assumere comportamenti che li metta in sicurezza
  • occorre quindi un vero e proprio upgrade culturale, anche mediante l’istruzione primaria, che porti la collettività ad una maggiore percezione del rischio (in progressivo ma inesorabile incremento con il mutare del clima), soprattutto in quei casi in cui non sia eliminabile completamente, ma, pur sempre limitabile con comportamenti opportuni.